Il mio primo laboratorio era una Batcaverna, un luogo segreto dove ho iniziato il mio percorso di shoemaker.
Lavoravo in un calzaturificio e mi occupavo del campionario e della messa in produzione, ma non creavo in prima persona le scarpe. Quando ho scelto che sarei tornata a Pesaro e avrei aperto un laboratorio/atelier tutto mio, ho anche dovuto attuare un piano per imparare a creare le scarpe fatte a mano.
La Batcaverna era a metà strada tra il luogo dove vivevo e quello dove lavoravo, era la posizione perfetta perché ci andavo sempre dopo aver staccato dalla fabbrica.
Si trattava di un locale adibito a mini appartamento con cucina, bagno e camera, sul retro di un grande palazzo con davanti degli orti.
Era inverno quando ho iniziato ad organizzare lo spazio e a portare la macchina da cucire. Arrivavo sempre sperando che nessuno mi vedesse, perché ovviamente non volevo che questa cosa si sapesse… purtroppo avevo una Volvo V50 rossa e a volte al mattino quando entravo in fabbrica qualcuno mi diceva “u do andavi ieri sera dopo l’otto?”, speravo sempre che pensassero che avessi l’amante e quindi con un sorrisino ammiccante rispondevo “all’otto…tu vedrai che rincasavo”
…ah sì, la Batcaverna e il mio mondo erano in Toscana, la mia amata Toscana.
Dopo qualche settimana conobbi la mia vicina, che moriva dalla curiosità di sapere cosa io stessi facendo ma io non ero intenzionata a svelarlo.
…fino a quando mi scontrai con suo genero, che aveva lavorato per due mesi con me qualche tempo prima, e quindi dovetti vuotare il sacco. Era una persona piacevole e sapere che era accanto a me, rendeva quel posto un po’ imboscato un po’ meno pauroso di sera.
Ogni tanto mi preparava il caffè e quando ammazzava i suoi polli e galline, mi mostrava sempre le uova che rimanevano all’interno, e io, , che vengo da una famiglia di pescatori e con i polli ho poca dimestichezza, restavo sempre un po’ impressionata.
Il giorno che sono partita per tornare a Pesaro mi ha regalato un ferro di cavallo in argento con un fiocco rosso e nel darmi il pacchetto mi disse “non vorrei dirtelo, ma è un ferro di cavallo”. Era Dicembre e da allora lo metto ogni anno sull’albero di Natale e quando lo prendo in mano, guardo mio marito e lui mi dice puntualmente “non vorrei dirtelo, ma è un ferro di cavallo”.
La Batcaverna numero 0 è stato il luogo in cui ho sperimentato l’essere un’artigiana e una futura imprenditrice. Ho comprato la macchina da cucire e la scarnitrice che vedete ancora oggi in lab, perché per imparare a montare la tomaia, dovevo prima crearla!
La scarnitrice era il mio incubo, un ammasso di ferro che faceva scintille per affilare la lama e che non riuscivo a regolare a dovere. Ho passato ore a guardarla e poi a piangere. Dovevo imparare bene, perché la preparazione della pelle prima di essere cucita è fondamentale per ottenere un lavoro finito a regola d’arte.
Volevo imparare tutto alla perfezione e dopo molti tentativi, un discreto numero di parolacce e qualche piantino disperato, alla fine ho vinto io e ho domato la creatrice di scintille!
Con la macchina da cucire le cose sono state più semplici perché ho avuto una maestra che mi ha insegnato tutto, ma davvero tutto quello che dovevo sapere, gestione della macchina inclusa! A lei devo molto di quello che so oggi, non solo sulle macchine da cucire, ma anche nella gestione della vita familiare quando lavori tutto il giorno…ma questa è un’altra storia!